“Il Palio di Siena? Non è violenza da stadio, è un’altra cosa. Dopo la gara si va sulle tombe al cimitero, i vivi festeggiano con i morti”: Maurizio Bianchini svela i segreti della competizione

Per capirne lo spirito, non basta guardare i suoi 90 secondi di corsa sfrenata. Bisogna entrare nelle sue logiche, a volte brutali, nei suoi riti ancestrali. “Bisogna trovarsi al Cimitero della Misericordia il giorno dopo che si è disputato”, spiega Maurizio Bianchini, per quarant’anni la voce del Palio di Siena in televisione. “Il primo atto della contrada vincitrice si svolge lì, sulle tombe: i vivi festeggiano il successo con i defunti, inalberando bandiere fra rulli di tamburo”. In un’intervista al Corriere della Sera, Bianchini, senese della Tartuca ed erede del leggendario radiocronista Silvio Gigli (“per me un secondo padre”), svela i segreti di una competizione che definisce “unica, senza eguali al mondo”.
Uno degli aspetti più affascinanti e controversi è il ruolo del denaro, che scorre a fiumi, ma secondo regole non scritte. “Dove trovi nel mondo un’altra gara in cui chi trionfa deve pagare tutti gli altri?“, chiede Bianchini. E parla di “qualche milione di euro“. Ma è al “canape”, la doppia corda della partenza, che si consumano i patti più incredibili. “La contrada mette parecchi quattrini a disposizione del fantino. Se al canape quello ha accanto un avversario che gli dà noia, può promettergli 100.000 euro” per farsi da parte. “E il debito viene onorato entro la sera stessa. Mica è una corsa regolare”. Gli ingaggi stessi sono d’oro: “Il più quotato per meno di 100.000 euro non si muove. E intasca il doppio o il triplo in caso di vittoria”. Un giro di denaro talmente vorticoso che, ricorda, in passato persino l’Agenzia delle Entrate “multò Aceto [il fantino più vittorioso di sempre, ndr] per 500 milioni di lire per evasione fiscale”.
La corsa in sé è una battaglia senza esclusione di colpi: “È tutto ammesso: ostacolare, parare, chiudere lo steccato, disarcionare”, spiega Bianchini. Una violenza che, per chi non è senese, può apparire come un maltrattamento degli animali. La regola, però, è una e precisa: “Tranne le nerbate all’interno del canape. Dopo la partenza, l’antagonista si può nerbare”. Il nerbo, un tendine di bue essiccato, può quindi essere usato sul cavallo del rivale, ma non prima che la corsa sia ufficialmente iniziata. Anche le risse tra contradaioli, i “fronteggiamenti”, seguono un codice tutto loro. “Non è violenza da stadio“, precisa il telecronista. E racconta due aneddoti emblematici. “Una volta i contradaioli dell’Aquila si scontrarono con i rivali della Pantera. Uno mostrò l’anulare e urlò: ‘Ho perso la fede!’. Si fermarono tutti a cercarla. Appena fu ritrovata, ripresero a suonarsele”. Un’altra volta, durante una zuffa tra Civetta e Leocorno, il titolare di un ristorante si sentì male. I rivali interruppero la rissa, chiamarono l’ambulanza e, una volta ripartita, “la zuffa si riaccese”.
E le donne? In quasi 400 anni di Palio moderno, ha corso una sola fantina, Rosanna Bonelli “Rompicollo”, nel 1957, come controfigura di un’attrice. Ma Bianchini nega che sia maschilismo. “Non esiste un divieto. Due ragazze avevano superato le ultime prove, ma poi i capitani hanno preferito i maschi”. E sottolinea: “Ci sono molte donne capitano. E abbiamo persino eletto la prima donna sindaco di Siena, Nicoletta Fabio, che è stata priore dell’Istrice”. Quindi conclude: “Anche mio figlio voleva quattro biglietti per la corsa del 2 luglio. Niente da fare”, neanche per lui.
Il Fatto Quotidiano